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Un articolo di Franco Cavalli estratto da Ombre Rosse n. 2 (nuova serie) del 1972

Amore, musica e pace sociale

- Cosa è successo a Woodstock?

Dal momento che negli Stati Uniti si tende a vedere Woodstock come un punto focale, un punto di partenza (o d'arrivo) nella storia di quello che si chiama «movimento», bisogna rifarsi brevemente alla sua storia negli ultimi anni: da dove è venuto e come è cresciuto fino a divenire una subcultura autonoma, con un suo, linguaggio e un suo universo di riferimenti e strumenti di comunicazione suoi propri.

Sappiamo che è nato pacifista, con le lotte per i diritti civili, e poi contro la guerra, come movimento di resistenza e di disobbedienza civile; si è trasformato con la rivolta nelle università, accettando la violenza come unica difesa possibile dalla violenza del potere, in corrispondenza con lo sviluppo dell'escalation da una parte, del movimento di liberazione nero dall'altra, e con il fallimento della battaglia per l'integrazione: questo non significa che sia mai stato rivoluzionario, se non nelle intenzioni di alcune avanguardie.

Negli anni fra il '64 e il '67 ha trovato nuovi punti di riferimento: nell'uso degli allucinogeni, come strumento di apertura dei sensi all'esperienza, nella musica intesa sia come rito collettivo sia come esperienza di conoscenza per l'individuo, e in tutta una rivoluzione nei comportamenti che va dal libero amore al rifiuto di vendere il proprio corpo ai meccanismi della produzione e della concorrenza.

Sì è andato diversificando: Haight-Ashbury e Columbia, «hippies» e SDS, radicals e freaks; ma l'origine è rimasta comune: la stessa derivazione di classe, le stesse esperienze politiche dietro le spalle, gli stessi riferimenti, dal rock

all'acido; appunto perché è così incredibilmente omogenea (rispetto all'Italia, ad esempio) la situazione economico-politica che sta dietro i giovani bianchi middIe-class della subcultura (che non c'entra con gli operai bianchi ed i rivoluzionari neri).

Ha trovato fra il '67 e il '69 dei brevi momenti di massa, un'unità temporanea nelle grandi marce per la pace: finiti con la sconfitta della strategia pacifista.

Al tempo di Woodstock, nel '69, negli Stati Uniti, ci sono più milioni di giovani bianchi che preferiscono ascoltare musica che studiare o lavorare, fumano erba e prendono acido ed altro, fanno resistenza alla guerra, al razzismo, al lavoro ed all'autorità, si scontrano con la polizia nelle strade ma non hanno un preciso orientamento politico: moltissimi se ne vanno da casa e dall'università o dal posto di lavoro, magari cambiano nome o documenti, vivono alla giornata, di, espedienti, ai margini della vita sociale «organizzata», in comunità più o meno «sotterranee», con una loro stampa e dei loro media e un loro codice di comportamento. Ma con l'eccezione di alcuni grossi centri, questi gruppi vivono isolati, sparsi su tutto il territorio del paese, soffocati dagli strumenti infiniti che il -potere ha a disposizione per riassorbirli od emarginarli, costretti a difendersi quotidianamente da una polizia nazista e dall'aperta ostilità della «grande società» bianca, a lottare per guadagnarsi quello spazio vitale e mantenere quella trama di rapporti chepossono permettere alla nuova cultura di sopravvivere.

Gli organizzatori del festival prevedono un massimo di 50.000 spettatori paganti per un concerto di tre giorni; ma su Woodstock converge quasi mezzo milione di persone e il festival si svolge forzatamente gratis; dopo due giorni un alluvione isola la zona dal resto dello Stato e Woodstock diventa una città autonoma, una città di hips senza polizia né automobili né estranei («vi rendete conto? - dice Arlo Guthrie - tutte le strade da New York sono bloccate. Siamo la terza più grande città dello Stato»); e per cinque giorni la musica più significativa di questi ultimi anni, droga libera, uno spazio dove i meccanismi abituali che regolano i rapporti fra persone negli uffici, negli appartamenti, sulle strade, non sono più direttamente operanti: diventano possibili nuovi modi di rapporto, giochi e riti comunitari. Per una subcultura che vive disaggregata e assediata sullo spazio di un mezzo continente, Woodstock diventa un'enorme raccolta di tribù, cinque giorni di viaggio collettivo contro la morte.

Questa, almeno, la testimonianza concorde di quanti a Woodstock ci sono stati.

- Cosa fa vedere il film di quanto è successo?

Cioè, cosa riporta il film «Woodstock» dell'evento Woodstock:

Prima di tutto, la dimensione fisica del festival: i momenti di «high» e la stanchezza di cinque giorni di avvenimento negli occhi dello spettatore che vede passare sullo schermo in tre ore venti maniere di fare musica e spettacolo; nelle pause, due o tre schermi che scorrono contemporaneamente, riprese a mano, dall'elicottero e grandangolari, rendono abilmente il campo visivo e il disordine della esperienza immediata di chi si sia trovato a vivere nel festival, la stessa dissociazione e lo stesso sovraffollamento di immagini nella mente di chi guarda; ed è preciso pure il -ritmo continuo con cui ogni situazione scatta su un'altra, senza soste, al limite della capacità di seguire tutto quanto sta accadendo.

Poi la musica, che in quanto azione, spettacolo, comunicazione diretta non è mai stata portata in film con tanta efficacia; taglia le immagini e decide del montaggio: a sua volta il montaggio ne ferma od accelera il ritmo; soprattutto è la musica più significativa di questi ultimi anni, il progressivo rock degli Who e dei Ten Years After e tutti i generi che ha influenzato: il country rock di Crosby Stills & Nash il folk-rock di Guthrie, il rock satirico di Country Joe & the Fish di Berkeley, che porta sul palcoscenico lo spazio conquistato negli scontri di strada, le stesse maniere di sfottere la polizia che si sono inventate sulle barricate; tutta musica che è prodotto diretto de ' Ila subcultura: Hendrix che rifà l'inno nazionale, o meglio ancora gli Airplanes (che però il film ha tagliato) con «Volunteers of America» («scendi in strada con gli altri come te - prenditi una rivoluzione»); il progressive soul di Sly, violentemente fisico e «fumato»;

Sebastian che durante il festival scrive una canzone sui bambini nati in quei giorni; e poi i generi «convenzionali»., Havens nella tradizione del blues individuale, il rock 'n roll tradizionale di Sha-na-na; e i generi nuovi, che non sono sintesi o indirizzi musicali originali ma gli strumenti di comunicazione che nuovi strati della subcultura hanno inventato per riuscire a parlare: così il blues-rock afrocubano di Santana e l'«Urban Blues» del Midwest di Canned Heat

Il film è spettacolo come lo è stato il festival; ma Woodstock, appunto, non è stato un concerto, è stato soprattutto un lungo viaggio collettivo; il film mostra quanto, di Woodstock, avrebbe potuto veder il reporter di Time se ci fosse stato; la scelta delle immagini e delle sequenze ricalca tutti i luoghi comuni del «cosa ci si aspetta che succeda» ad un festival, sia pure di mezzo milione di persone: intervista con due giovani «rappresentativi» (appunto perché scelti a caso); divertimenti di massa, chi fa il bagno nudo e chi scivola nel fango; cosa ne pensano gli organizzatori; e gli abitanti della zona; il droghiere e il poliziotto; e ancora gente che arriva e gente che parte e gente che fuma e bambini che nascono. La troupe superattrezzata di Wadleigh era nelle condizioni migliori per mettere in immagine quanto stava accadendo, in cinque giorni di improvvisazione continua, ma il film resta prevedibile e ben congegnato come un qualsiasi giocattolo di Hollywood. Se nonostante la scelta delle sequenze ed il montaggio resta parecchio della spontaneità del festival, è perché evidentemente di quanti vi hanno preso parte solo i maharishi e i poliziotti erano disponibili per fare la parte; non è un caso che dicano le stesse cose.

E’ chiaro che la visione su schermo chiede tutt'altro genere di partecipazione del palcoscenico all'aperto, e non solo' perché a Woodstock la gente prendeva acido tranquillamente mentre nei cinema si può fumare solo di nascosto; ma il cinema offre allo spettatore altri modi di coinvolgimento che quello di trasformare un avvenimento in un'epica, in un mezzo mito.

- A cosa serve «Woodstock»?

Woodstock è stato un fatto rivoluzionario, per come è successo: mezzo milione di persone si prendono gratis un festival commerciale e fanno saltare l'uso per cui era stato previsto; per cinque giorni tengono in piedi una città loro, la festa di una subcultura; un momento di unità senza precedenti, sulla base della musica, di comportamenti rivoluzionari e rapporti nuovi fra persona e persona, del fumo e dei riti collettivì; un'occasione di confronto per gente che viene dai posti più diversi ma ha vissuto più o meno le stesse esperienze.

Appunto per queste ragioni è stato un evento che non chiedeva di venire mediato in un film, riportato in documentario, ma anzi di venire reinventato, rivissuto con una certa ottica: la presenza di mezzo milione di persone apre mezzo milione di possibilità e richiede scelte precise.

Il film fa la sua scelta e dà una chiara indicazione: che subcultura ed estabilishment possono convivere; nel «business world» c'è posto anche per festivals di pace e musica; il droghiere reazionario non sopporta che sua figlia dorma sotto la pioggia nella tenda con così tanti uomini, ma il capo della polizia non ha niente in contrario: «avevo sentito dire che questi, giovani sono violenti, anormali; so che molti di loro si drogano; ma devo dire che a me non sembrano affatto diversi dai loro genitori, da ogni altro americano; mettete insieme cinquecento adulti ubriachi, quante risse ci sarebbero? A me non importa quello che fanno, se stanno tranquilli». Pure il poliziotto è dalla nostra; per chi fa il film, questa è una vittoria.

Il messaggio arriva con tutta l'efficacia che gli sa dare il mercato: prima si propone il mito Woodstock, e si lascia che siano la stampa ed i mass media a gonfiarlo ed a creare l'aspettativa, poi arriva il film a riempire il vuoto e a chiudere il discorso, dando risposte ai milioni di hippies che a Woodstock non ci sono stati e vogliono vedere cosa è successo e trovarci indicazioni. Il film serve a questo, oltre che a riempire le tasche degli organizzatori.

A quasi tre anni di distanza, è chiaro che da Woodstock non è venuto nulla di rivoluzionario; ognuno è tornato a casa ad aspettare un altro festival. E' più chiaro ora che se c'è qualcosa che unifica la subcultura non è la rivolta politica o la rivoluzione dei comportamenti, ma la musica. Questo si può formulare in un'altra maniera, dicendo che termini come «Woodstock Nation» si riferiscono ad uno strato di consumatori, un settore di pubblico per il mercato discografico. Non è vero che sia un termine vago e qualunquista, come hanno detto alcuni, è la formula che riassume una ricerca di mercato.

Negli Stati Uniti si è parlato parecchio di rivoluzione dei giovani. «E' chiaro che tutto questo sistema sta andando a pezzi ed è destinato a scomparire - diceva qualcuno dopo Woodstock - tutto quello che noi possiamo fare è accelerare il processo evolutivo». Però in cent'anni che sta morendo ha fatto a tempo a chiudere gli indiani nelle riserve, gli schiavi nei ghetti, gli studenti nei campus. E gli «hippies>>?

- A cosa serve un festival?

Stanno per uscire, o sono già usciti, altri films di festival; possono servire per ricostruire la storia del fenomeno.

Newport 63-67, è un documentario di cinque anni di storia del festival folk di Newport; è il modello di cosa poteva essere un festival negli anni che hanno preceduto l'avvento del Progressive rock; suonano i grandi blues players della tradizione negra e analfabeta, da Mississippi John Hurt a Howlin' Wolf, e giovani bianchi. Il pubblico sono dilettanti e semiprofessionisti della chitarra, e appassionati del folk di tutte le età; negli ultimi due anni, sono gli studenti che fanno le marce per la pace; parallela alla trasformazione del pubblico si vede evolversi la musica di alcuni personaggi «chiave» del festival: Dylan, Donovan, Baez, Peter, Paul & Mary; e si sente Baez parlare di amore universale.

Monterey Pop 67; è il primo festival di massa; si tiene a Monterey, California, al termine dell'estate '67 (cioè della estate di Haight Ashbury, di Sergeant Peppers e dell'acid rock di S. Francisco); guardando Monterey pop è chiaro come tutto questo genere di festival sia connesso inscindibilmente al Progressive rock, in quanto prodotto diretto della subcultura, rivoluzionario rispetto a forme e contenuti precedenti della musica, e in quanto musica legata all'azione, allo spettacolo, alla partecipazione diretta del pubblico; per le stesse ragioni è quella che più si presta a venire portata in film. A Monterey suonano i musicisti che ne sono gli interpreti piu geniali: da Hendrix a Janis Joplin agli Airplanes ai Grateful Dead; la regia è di Pennebaker, e punta soprattutto a metter in immagine la violenza e l'aggressività della musica, con mezzi più primitivi di «Woodstock» ma una maggiore immediatezza. In Italia, «Newport» e «Monterey» si sono visti finora solo in cineteca.

Sono stati festivals come questo a fissare gli schemi e il cliché del festival di questi ultimi anni; Woodstock doveva essere un'altra Monterey, nelle intenzioni degli organizzatori; ma é poi proprio Woodstock ad aprire la strada a una altra formula di festival: il festival di massa prodotto dalla subcultura (perché di lì viene la musica e di lì viene il pubblico) ma gestito dall'apparato commerciale: da occasione di incontro, di confronto, di organizzazione lo si trasforma in «luogo sacro» di fruizione di miti e di illegalità, consacrato al consumo collettivo di musica, di droga ' di vestiti e di apparenza varia; l'ideologia pacifista che è la «sigla» del festival è l'ideologia del mercato discografico, perché la musica si colloca come «consumo di pace»per eccellenza, in un paese dove il 40 per cento delle tasse va in consumi di guerra (consumi complementari, se vogliamo). E' comunque un affare colossale, molto più redditizio dei grandi match di boxe, oltre che uno strumento efficacissimo di manipolazione di massa. Managers coi capelli lunghi, reclutati anche fuori del giro commerciale, si occupano delle inevitabili mediazioni.

Ad Altamont, novembre '69, vediamo il negativo di Woodstock filmato in Gimme Shelter. Il festival viene organizzato in meno di una settimana; si terrà in un campo a 70 chilometri da S. Francisco, durerà un giorno solo ma sarà gratis e ci verranno centinaia di migliaia di persone; viene offerto dai Rolling Stones, sarà la loro ultima apparizione in pubblico al termine della tournée negli Stati Uniti, servirà a restituirgli uno status commerciale, artistico e di leadership internazionale che sta andando a puttane; radio e giornali lo reclamizzano per tre giorni come «Woodstock West», tutti i complessi di S. Francisco danno la loro adesione; visto che è gratis lo si prepara in economia: gli altoparlanti si sentono solo in un raggio di poche centinaia di metri, niente servizi igienici, niente attrezzatura medica;del servizio d'ordine si occupa personalmente Mick Jagger: paga 500 dollari di birra agli Hell's Angels per farlo; il giorno del festival arrivano le centinaia di migliaia di persone, sistemandosi in uno spazio che può contenerne la metà; i più si ammassano sulle colline, senza vedere e sentire nulla; gli Hell's Angels fanno servizio d'ordine alla loro maniera, caricano la gente con la motocicletta, picchiano chi cerca di reagire, massacrano a colpi di coltello un giovane negro che si era avvicinato troppo al palcoscenico. Il <<festival>> si chiude con quattro morti, una cinquantina di feriti, e qualche centinaio di persone ricoverate in ospedale, perché erano in acido e sono sballate durante gli scontri; le radio stanno ripetendo ancora che ad Altamont è venuta più gente che a Woodstock.

Un altro sogno megalomane è il festival di Toronto, sempre nell'autunno '69: stavolta il promotore è John Lennon, meno figlio di puttana di Jagger ma più delirante; il festival si terrà a Toronto, Canada, per tradizione un posto di pace e di, «buone vibrazioni» fuori dalla fascia di violenza degli Stati Uniti, un rifugio per renitenti alla leva e comuni in esilio; sarà gratis per tutti, stavolta anche il cibo (macrobiotico, non inquinato); su tutta la zona bruceranno grandi bracieri d'incenso; si presenterà per la prima volta in pubblico una nuova macchina volante , che funziona senza motore (grazie a segni magici che concentrano l'energia dell'universo); una potente setta medianica si metterà in contatto telepatico con più zone del pianeta (e non solo di questo), e di lì si diffonderà in tutto il mondo; ed altro. Stavolta il festival viene tolto dalle mani del suo ideatore da imprenditori molto più realistici e money-minded, in tempo perché non vada a fondo: sarà una cosa più modesta, qualche decina di migliaia di persone, due, tre giorni di musica a prezzi ragionevoli («aveva ragione Hitler! - esclama Lennon quando gli dicono che si pagherà per entrare al festival - bisogna tenere la gente sotto controllo»). Anche il film di Toronto è uscito da poco negli Stati Uniti, sono due ore di ottima musica colla regia di Pennebaker.

Poi viene Wight. Festival of music, Isle of Wight, agosto '70. Ci è voluto un anno per prepararlo, si è speso qualcosa come un milione di sterline (dicono), si sono fatti passare provvedimenti di legge speciali per poterlo tenere sull'isola, viene lanciato sul mercato come un presidente degli Stati Uniti con Wight l'estabilishment del disco recupera fino in fondo la lezione di Woodstock: ci sarà posto per almeno 300.000 persone (ne verranno poi più dì mezzo milione), sì girerà un film (che basterà da solo a raddoppiare o triplicare l'incasso). Non sarà come Woodstock, sarà molto di più, una formula nuova (qualcosa del genere «siamo qui per dimostrare che Woodstock non è stato un episodio irripetibile, ma che anzi aì giovani si può lasciare la libertà di avere festivals come questo, la meritano perché li sanno usare» da quanto si è potuto capire dalle parole degli organizzatori in apertura di festival; in ogni caso lo ripeteranno nel film).

Comunque sia, si prendono tutte le precauzioni possibili perché in pubblico dia questa prova di responsabilità: un recinto chiuso da un doppio muro di lastre metalliche alte tre metri (con un'intercapedine sorvegliata a vista); porte girevoli che fanno passare una persona alla volta (e contrassegni speciali per uscire dal recinto una volta che è stato consegnato il biglietto); poliziotti e cani lupo; dentro il recinto si può anche fumare, fuori tì arrestano (60 persone in tre giorni); tutto intorno padiglioni che vendono vestiti e accessori vari, e spacci di cibo schifoso (i prezzi triplicano per l'occasione); a una certa distanza c'è perfino una spiaggia per chi volesse fare il bagno nudo; poca amplificazione (costa troppo) e pochi servizi igienici; steccati pure all'interno del recinto, per tenere fuori la massa dalla zona riservata alle autorità (le prime 30 file di «poltrone» più un giardino bar e carrozzoni per giornalisti, stars, e personalità); in cambio ci sono giochi e happenings a disposizione del pubblico: un grosso dirigibile di gomma, Simon & Garfunkel che sorvolano il festival in pallone, un pastore protestante la domenica e così via; sono state preparate pure le scritte sui muri.

La musica comincia a mezzogiorno e finisce alle sei di mattina, per le otto bisogna essere usciti e rimettersi in coda con l'altro mezzo milione («per quelli che non fossero ancora usciti, vi avverto che fareste bene a sbrigarvi e a svegliare-chi dorme, perché fra poco entreranno i bulldozers ed i cani e siccome è buio non vorremmo che qualcuno ci andasse di mezzo»). Il management ha imparato bene a servirsi del potere che gli viene dal palcoscenico: si chiede alla gente di alzarsi in piedi, abbracciarsi, mettersi a danzare, fare il segno di pace con le mani quando la troupe è pronta per le riprese («facciamo vedere a tutti che siamo contenti di essere qui»); quando un centinaio di migliaia di persone, che non hanno pagato il biglietto, occupa una collina sovrastante il recinto, si riesce a farli passare per nemici del festival, e gli si mandano contro i poliziotti e i cani per farli sloggiare.

Il resto non si svolge più secondo i piani: in una giornata di scontri, poliziotti e cani vengono respinti dalla collina con bastoni e fionde; all'interno del recinto, la gente si rifiuta di uscire alla mattina; in brevissimo tempo si organizza un comitato di lotta che distribuisce un giornale e ciclostilati con le ultime notizie sugli scontri; la gente comincia a rendersi conto di essere stata chiusa in un campo di concentramento psichedelico: vengono danneggiate attrezzature e installazioni in più punti del campo; sul palcoscenico fa a tempo ad affiorare una tesi sugli opposti estremismi, e gli organizzatori chiedono alla polizia dì ritirare i cani, per poi puntare i riflettori verso la collina per accecare gli occupanti e costringerli a sloggiare. L'ultimo giorno viene abbattuto il muro del recinto, chi è fuori riesce ad entrare, e viene finalmente lo showdown degli organizzatori: ne abbiamo avuto abbastanza dì voi gente - gridano al microfono - non siete altro che dei bastardi fottuti; abbiamo lavorato un anno per darvi questo festival, ma voi volete solo distruggerlo; abbiamo perso tutto (palle); non' ci sarà più un festíval di Wight; fischi, applausi, risate. Il film è in preparazione; dicono che sarà più spettacolare di «Via col vento>>

Può darsi che Wight abbia chiuso la serie dei festivals di massa; se è vero, sarà stata una vittoria per chi a questi festivals ci è andato perché vede nella musica un pezzo di rivoluzione.

Un anno e mezzo dopo Wight, il mito del festival di massa si è sgonfiato: si è rivelato un investimento troppo arrischiato, ha perso troppa credibilità, e poi ha perso l'apporto di molti di, quei complessi che in definitiva erano stati il perno di tutta l'operazione, e che ora non sono più disponibili a far funzionare queste macchine del piacere abnormi. (vedi Airplanes, Chicago, CSN&Y) (pur restando prigionieri Ai quella che è per forza di cose la contraddizione del loro operare come musicisti: fabbricare musica rivoluzionaria che viene gestita dal mercato discografico).

E' rimasto, e si è diffuso (negli Stati Uniti), il festivalevento (per dargli un'etichetta): concerti -happening che durano un pomeriggio e più giorni e succedono dovunque ci sia gente che sa far musica, gente che vuole sentirla, gente in grado di mettere in piedi quel minimo di organizzazione: sono feste collettive o sono convegni del Movimento.

Sul mercato del cinema sono stati immessi film di complessi o di concerti (Cocker, Stones, Ten Years After) buona musica, e cinema allo stesso grado di consumo di una copertina di «greatest hits». Divi che vogliono ricordare a tutti di esserlo, meno divi che vogliono sembrar divi per un momento anche loro.

Festivals ce ne sono stati anche in Europa (cioè sul «continente», fuori dal giro musicale anglo -americano), molto più dispersi ed occasionali, festivals di jazz per amatori, festivals di tre giorni tipo Amsterdam per richiamare il pubblico del weekend londinese o Palermo per fare un po' di folklore. Anche qualche festival realmente autonomo-(il primo del genere deve essere stato uno o due anni fa in Finlandia) come quello recente di Re Nudo a Ballabio. Ma di questo non sarebbe giusto parlare qui affrettatamente ora, perché coinvolge la nostra pratica sociale di oggi, è parte degli sbocchi e delle armi che cerca di darsi il movimento rivoluzionario complessivo, in una situazione dove i proletari hanno già fatto una dozzina di festivals in due anni ed hanno suonato la loro musica in tutt'altra maniera.